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Oriente e occidente nella mia musica

Di Toshio Hosokawa

Nel mio percorso di musicista penso molto concretamente al tema dell’incontro fra oriente e occidente, ed anche a quello della spiritualità in musica.
Alcune personalità eccezionali mi hanno dato impulso e mi hanno formato. Fra le persone che hanno influito su di me soprattutto in ambito spirituale voglio nominare Klaus Huber, per cui nutro profonda stima e che è stato molto importante, e Kadowaki Kakichi, padre cattolico e monaco zen, entrambi anche ottimi interlocutori nel discutere di scambi fra oriente e occidente e di spiritualità in musica. Klaus Huber nella propria opera di compositore si è spinto spesso ai confini della radicalità, sulla base di un misticismo cristiano. Kadowaki è sia prete cattolico che grande interprete del pensiero asiatico. Ha fatto propria la religione orientale non solo intellettualmente, come un sapere, ma l’ha sperimentata anche fisicamente, con l’esperienza delle pratiche ascetiche del buddhismo zen.
Ho conosciuto la musica di Klaus Huber a Berlino, mentre studiavo composizione con Isang Yun. Avevo iniziato a studiare con Yun a Berlino a vent’anni, e ho continuato per sette anni. Per me, giovane giapponese, Berlino era la prima esperienza europea. Sono nato e cresciuto a Hiroshima, nel Giappone meridionale. C’è un clima molto mite, e anche in inverno c’è sempre il sole. Per questo Berlino era per me un mondo grigio. Ed era la musica che mi dava l’energia per viverci.
Considero il prof. Yun un grande compositore e insegnante. È grazie alle sue amorevoli cure se sono in qualche modo diventato un compositore. Per me era importante che fosse un compositore dell’Asia orientale, che però aveva scoperto nuove possibilità musicali nel mondo della composizione occidentale. Con studi approfonditi sui nuovi linguaggi della musica occidentale, ha creato, a partire dalle idee musicali della sua patria, la Corea, uno stile musicale sempre più solido e originale. E qui entriamo nell’ambito delle concezioni orientali sulla musica, della domanda rispetto al tempo e al corso delle cose (movimento nella quiete, quiete nel movimento), della domanda sulla forma dei suoni (il suono principale), dello yin yang daoista e della realizzazione delle idee di luce e ombra in musica.
[…]
Nella mia musica ho ripreso molte intuizioni musicali di Yun. Ciò che ho prodotto all’inizio sembra scaturire, quasi senza eccezioni, dall’alveo della grande musica di Yun. Ma io non ero Isang Yun, dovevo diventare me stesso. Mi resi conto di dovermi staccare dalla sua profonda influenza per trovare la mia strada, mia e originale. Nella seconda metà del mio periodo berlinese, e dunque all’inizio degli anni ottanta, presi parte con molto slancio a seminari di composizione, a Darmstadt e altrove, poiché volevo ancora approfondire la nuova musica europea con altri compositori che non fossero il prof. Yun, in particolare con compositori europei. Nella mia testa circolavano i nomi di compositori come Ligeti, Nono o Lachenmann. E poi, improvvisamente, ho sentito alla radio la musica di Klaus Huber. Si trattava del concerto per viola e piccola orchestra Ohne Grenze und Rand... (1976/77). Klaus Huber in persona parlava in modo davvero speciale di musica. Diceva di essere stato influenzato dal pensiero zen. L’autentica bellezza di quella musica che esprimeva una profonda spiritualità, come pure la voce di Huber, mi fecero una profonda impressione. Sono poi venuto a sapere che Huber è un famoso maestro, che ha insegnato a compositori eccellenti come Wolfgang Rihm, Younghi Pagh-Paan e Brian Ferneyhoug. Così mi sono trasferito alla Staatliche Hoschule für Musik di Friburgo, per studiare con Klaus Huber.
I quattro anni di studio a Friburgo sono stati per me un periodo meraviglioso. Per prima cosa mi hanno colpito la bellezza e la luminosità della cittadina. Per me vuol dire molto essere circondato dalla natura, vivere insieme ad alberi e corsi d’acqua, perché così ero abituato al mio paese. In confronto a Berlino, Friburgo è davvero una cittadina, ma per me era la città giusta.
L’Istituto per la Nuova Musica, che Huber dirige all’interno della Hochschule, mi ha dato moltissimo. Vi si organizzava un corso di ricerca sulla musica moderna, per il quale veniva scelto ogni semestre un compositore. Gli studenti insieme ai docenti continuavano il lavoro di ricerca e analisi sul compositore in questione; alla fine del semestre il compositore scelto veniva invitato, gli studenti eseguivano i suoi lavori e potevano ascoltare le sue conferenze. In questo modo ho potuto occuparmi approfonditamente della musica di compositori contemporanei del livello di Lutoslawski, Ligeti, Nono, Ferneyhough o Lachenmann. Ovviamente sono venuto direttamente a contatto anche con la musica di Klaus Huber nel corso delle sue lezioni.
[…]
Io sono dell’idea che i giapponesi debbano studiare approfonditamente tutto ciò che è europeo. Perché se guardiamo al mondo, dobbiamo semplicemente riscontrare – che ci piaccia o no – che la cultura europea è quella che passa per essere la cultura del mondo. Non è possibile tentare di ignorare questo fatto. E se è così, noi dobbiamo, secondo la mia opinione, prendere posizione nei confronti di questa cultura occidentale e affrontarla in toto. Non è forse il problema di noi giapponesi, addirittura l’errore, il non essere mai entrati abbastanza a fondo nella cultura occidentale?
D’altra parte, ovviamente, noi abbiamo la nostra storia e le nostre tradizioni. Dopo che per oltre 200 anni il Giappone è stato isolato, è seguita, con la Restaurazione Meiji (1868), un’improvvisa apertura all’esterno. Si è creduto di adottare dall’Occidente il più possibile, il più in fretta possibile, e abbiamo finito con il perdere di vista il nostro originario modo di essere, la nostra natura. A passi troppo veloci i giapponesi hanno cercato di acquisire la civiltà occidentale, perdendo così la propria strada, quella a loro destinata. Io stesso per lungo tempo non ho avuto alcuna considerazione per i caratteri specifici della cultura giapponese. Musica ha significato per me per lungo tempo semplicemente musica europea, nei nomi soprattutto di Bach e Beethoven o dei loro successori Schönberg e Webern.
Ho conosciuto per la prima volta la bellezza della musica tradizionale giapponese durante i miei studi a Berlino, dove mi capitò di ascoltare della musica cerimoniale di corte (gagaku) e il canto rituale buddhista (shōmyō). In effetti mia madre suonava il koto, ed io nella mia infanzia ero abituato a quei suoni. Tuttavia, quel tipo di musica mi aveva sempre solo fatto venire sonno. Per la prima volta a Berlino ho scoperto la musica tradizionale giapponese; per la prima volta mi è risultato perfettamente chiaro che io sono un giapponese e non un occidentale. Questo anche perché a Berlino ho sviluppato una nuova comprensione del significato della musica moderna occidentale, che non avrei mai potuto capire solo in base ai valori della musica classica europea che tanto ammiravo.
E a Friburgo è successo che Klaus Huber mi suggerisse di dedicarmi per prima cosa alla mia storia. Come era stata recepita nel tempo la musica europea in Giappone? Questa domanda mi diede l’impulso ad indagare le biografie dei miei predecessori e nello stesso tempo a definire la mia posizione. Quando il Teatro Nazionale di Tokyo mi commissionò un nuovo brano per gagaku e shōmyō, Klaus Huber mi consigliò caldamente di tornare in Giappone per studiare approfonditamente quella musica. Presi un semestre di vacanza dalla scuola di Friburgo e tornai in Giappone per dedicarmi alla musica giapponese.
Questo forse può sembrare strano agli europei, che non esistano tante occasioni per noi di studiare la musica tradizionale giapponese. In Germania vivono moltissimi musicisti giapponesi, eppure tra di loro quanti hanno una conoscenza di fondo della musica tradizionale giapponese? L’educazione musicale in Giappone non fornisce in proposito alcun sapere, e nella società contemporanea la musica tradizionale giapponese esiste piuttosto in un isolamento di nicchia.
[…] Nel Giappone odierno esiste soprattutto una musica di intrattenimento che deve poter essere ascoltata da molte persone e facilmente compresa e che naturalmente è molto lontana da una musica che esprima spiritualità oppure religiosità. I giapponesi di oggi sono stanchi e stressati, e c’è poco spazio per rigore e spiritualità in musica. Ciò che si desidera è una facile musica esotica (secondo il motto «straniero è ‘in’»); perfino nella musica contemporanea c’è questa tendenza al post-moderno ottocentesco di matrice occidentale, una musica leggera da concerto.

Un giorno il prof. Kadowaki nel suo studio mi ha fatto vedere un esercizio di calligrafia. Era una delle sue pratiche zen. Ha preso un grosso pennello, ha fissato arbitrariamente un punto nel vuoto, ha lasciato scendere il pennello e da quel punto ha tracciato un carattere su un grande foglio di carta bianca, per poi ritornare al punto fissato all’inizio. Aveva fatto un movimento e mi disse: «La linea sulla carta, che vediamo con i nostri occhi, è solo una parte del movimento che non si vede. Ma è questo movimento invisibile nel vuoto che sostiene e fa vivere la linea che possiamo vedere». Le parole di Kadowaki mi hanno colpito nel profondo. Perché mi pare che anche nella musica giapponese i movimenti fisici che non si possono sentire agiscano grandemente sui suoni che si sentono. In Giappone questo evento e fisico temporale che non si può udire si chiama ma (il vuoto, lo spazio fra). Questo pensiero ha avuto un effetto decisivo sulla mia musica. Ho iniziato a scrivere brani solistici intitolati Sen (linea). Procedendo dall’idea che un elemento inudibile sostenesse il mondo dei suoni udibili, ho voluto tracciare una linea sonora viva. I suoni dunque esistono perché sono sostenuti dal silenzio che non si può sentire.
[…]
Ma quando compongo non ho sempre solo la filosofia orientale in mente. Nella prima metà di Sen I nel ritmo c’è una proporzione rigorosa, secondo il modello 5:3 oppure 8:5. Questo vuol dire, per esempio, che cinque tempi sono vuoti, al sesto compare un suono e durante gli ultimi tre tempi il movimento del braccio dell’esecutore torna al punto di partenza. La proporzione è presa dalla serie di Fibonacci. Ho imparato questo rigoroso metodo di controllo della misura temporale in musica da Klaus Huber. Ho sempre avuto l’impressione, nei miei tentativi di esprimere il mondo del pensiero orientale, che il risultato non sarebbe stato soddisfacente se mi fossi affidato soltanto alla mia intuizione.
La musica orientale – nel mio caso in particolare la musica giapponese – dev’essere considerata di nuovo da un punto di vista esterno al Giappone. Ma questo non deve accadere solo per il Giappone. Penso che in futuro dobbiamo cercare nuove possibilità musicali che valgano per la musica del mondo intero. In altre parole, la musica tradizionale giapponese, la concezione musicale orientale, deve essere liberata dai confini del Giappone, dev’essere riconosciuta e studiata come patrimonio musicale dell’umanità. A questo scopo, i giapponesi devono a loro volta studiare approfonditamente la cultura occidentale, che è a loro estranea. E forse è la cultura occidentale ad essere nella condizione di comprendere, rendendolo oggettivo, il pensiero musicale orientale.
Non vorrei che la mia musica risultasse qualcosa di esotico, né, all’occidentale, un’estensione del mio io. Vorrei creare una musica che nasca da una profonda comprensione reciproca nell’incontro. Per far scaturire dei suoni, il luogo in cui esistono suono e silenzio, è necessario un approccio che si lasci alle spalle l’oriente e l’occidente. Questa prospettiva, di superare – almeno un poco – le etichette ‘oriente’ e ‘occidente’ è il mio maggiore impegno per il futuro.
Ma questo non vuol dire che l’oriente e l’occidente debbano essere semplicemente mescolati o amalgamati insieme; si tratta piuttosto di sciogliere le categorie, superare i confini con eguale rispetto reciproco, da entrambe le parti.

(estratto dal testo dell’intervento di Toshio Hosokawa al III Symposium della serie “Der Osten – Der Westen” dal titolo Spiritualität der Musik heute. Gialog zwischen Japan und Europa, 7/11/1997,
pubblicato nel vol. 37 degli atti del Zentrum con il titolo Westliches und Östlicher in meiner Musik, Berlino JDZB, 1998,
a cura di Inge Hoppner, pp. 39-45. Per gentile concessione del Japanisch-Deutschen Zentrum Berlin.
Traduzione dal giapponese e cura di Luciana Galliano)
V. Ma. La sensibilità estetica giapponese [Ma Japanese Aesthetics], a cura di Luciana Galliano, Torino, EAM 2004