Fondazione Spinola-Banna per l'arte
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Diario di Banna

Di Valentina Coladonato

Non è semplice descrivere la mia esperienza nella tenuta Banna Spinola, perché c’è da mettere su carta tutto il caleidoscopio di cose belle che mi circondano: la musica, che è l’asse portante dell’intera settimana che mi vede qui, il lavoro di preparazione dei brani per il concerto finale, il legame sincero di amicizia e stima che si è creato con il Quartetto Prometeo sin dal nostro incontro romano, soltanto pochi giorni fa, la presenza attenta di Ivan Fedele, che ci sprona e ci consiglia seguendoci paternamente, infine i giovani compositori Eric Maestri e Raffaele Grimaldi che hanno plasmato per noi opere cui ci apprestiamo a dare vita col suono e la fusione interpretativa: un connubio di sguardi, gesti, occhiate d’intesa e – perché no? – sorrisi. Tutto questo in una dimensione fuori dal tempo presente, dove la vita non si è arrestata, ma continua su una linea atavica di usanze e ritmi quotidiani, dove accanto alle automobili moderne sostano grossi mezzi agricoli, dove non mancano nell’aia il cane e i gatti che abitano il luogo con naturalezza, dove le piante curatissime e i fiori profumati rivelano un sensibile e raffinato gusto femminile, quello della signora Orsola. Peonie, rose, clematidi e decine di altre varietà di fiori danno un senso di pace; il semplice camminare in giardino ascoltando la musica della natura intorno ci sostiene non poco quando il lavoro di perfezionamento musicale si fa arduo e la stanchezza si fa sentire; basta allora inspirare profondamente per ricordarsi di essere comunque in un Eden, e che tutto può diventare più facile semplicemente lavorando con tranquillità, senza lo stress dell’orologio al polso, perché qui il tempo è davvero fermo. Quando arriviamo alla sera, stanchi ma soddisfatti di avere fatto dei passi avanti con i brani, ci sembra quasi strano che il cielo sia diventato blu scuro in un batter d’occhio. I brani sono coinvolgenti fisicamente ed emotivamente. Sono lontani i tempi in cui superficialmente tendevo a giudicare la musica contemporanea come naif, astrusa e senza significato, buttata lì per il gusto di produrre qualcosa di “diverso-a-tutti-i-costi”, e bollavo in massa tutte le composizioni che non facessero capo a una tonica, a una dominante, o che non avessero accordi facilmente orecchiabili... Il lavoro dei giovani compositori rispecchia la loro personalità, quasi come in un’autobiografia. Sono quasi felice di essere arrivata a cena stanchissima la sera della prima “filata” dei brani, che mi ha spossata più di quello che avrei creduto: sono pezzi intensi, dove l’anima esprime con la voce il suo tormento, e anche un sussurrato può essere internamente un grido potente, su un substrato che può andare dall’asettico e glaciale “sospeso” degli archi, che arricchisce in armonici il filato della voce, fino al caotico combattere degli stessi una furiosa battaglia sonora che squarcia l’aria, dove ognuno di essi diventa entità a sé stante e lotta per il suo primato personale. Il grido è tante cose insieme: l’affannoso richiamo reciproco del padre e della figlia: il “dove sei?” è una ricerca febbrile del contatto col sangue del proprio sangue in un vasto spazio armonico che acceca e non unisce, ma tende ad allontanare in Celestografia di Eric Maestri; oppure è la presa di coscienza graduale e dolorosa di Diotima dell'abnorme amore erotico per sé stessa, che porta al suo stesso annientamento, in Anti-Diotima di Raffaele Grimaldi. Ancora mi affascina la straordinaria simbiosi del Quartetto, formato da Giulio Rovighi, Aldo Campagnari, Massimo Piva e Francesco Dillon, che riescono a lasciare senza fiato per la loro compattezza, l’immediata intesa, il trasporto unanime nel fraseggio e nell’interpretazione, il ritmo impeccabile, il suono sempre a fuoco sull’indicazione della partitura. Un vero, sublime disco dal vivo. E io, lusingata dall'esserne parte integrante nella magica Banna, sono lì che bevo avida le loro perle di saggezza fatte suono puro, e continuo a sognare.